Il 10 agosto si celebra San Lorenzo, la magica notte delle stelle cadenti, ma ben pochi conoscono la storia recondita legata a questa ricorrenza.
Anzitutto di San Lorenzo abbiamo ben pochi dati storici. Nato in Spagna nel 255, durante la dominazione romana, venne educato alla fede cristiana. Seguì gli studi teologici guidato dal futuro Papa Sisto II, diventando presto un arcidiacono dedito alla carità per le persone bisognose e per le vedove.
Purtroppo questo atteggiamento misericordioso non verrà visto positivamente dall’imperatore Valeriano che, nel 258, deciderà di condannarlo al martirio. Il sovrano ritenendo infatti che l’operato di Lorenzo offuschi il suo impegno per il controllo dell’impero, emana un editto per mettere a morte tutti i presbiteri, i vescovi e i diaconi. Lorenzo venne ucciso il 10 agosto 258, bruciato su una graticola, e molte voci riportano che venne prima sottoposto a torture di ogni sorta. Divenne Santo intorno al V secolo dopo Cristo, quando Costantino e Sisto III ricordarono la sua opera.
Il 10 agosto viene ricordata come la notte delle stelle cadenti, anche se la Chiesa commemora il martirio del Santo, perché gli astri rappresenterebbero le lacrime versate da Lorenzo durante il martirio. Secondo alcune credenze, i cori religiosi servivano per rendergli onore mentre veniva torturato, in modo da alleviare le sue pene.
Nel tempo questa notte ha assunto significati diversi. È consuetudine andare in un luogo aperto per poter osservare il cielo e, secondo una credenza popolare, esprimere dei desideri.
In alcuni paesi c’è l’usanza di saltare non appena si distingue una stella cadente: per afferrarla al volo e far sì che il desiderio si avveri.
Dal punto di vista scientifico le stelle cadenti sono uno sciame meteorico. Il picco di visibilità quest’anno non sarà il 10, bensì tra il 12 e il 13 agosto, per cui non disperate in caso di maltempo, avrete a disposizione più giorni!
Che vogliate vivere questa notte ricordando il Santo o, semplicemente, godendovi lo spettacolo notturno, vi auguriamo che possiate vivere uno splendido momento… e che qualunque desiderio espresso possa avverarsi!
Il Tanabata Matsuri è una festa tradizionale giapponese derivata a sua volta da un festival cinese (Qīxī, festa per pregare per le abilità). Si festeggia il 7 luglio e celebra il ricongiungimento delle divinità Orihime, abile tessitrice, e Hikoboshi, esperto mandriano, rappresentanti le stelle Vega e Altair. Secondo la leggenda, i due, da sempre ottimi lavoratori, iniziarono a trascurare le rispettive mansioni dal momento in cui si innamorarono follemente, recando così danno agli altri dei. Tentei, il sovrano di tutti gli dei nonché padre di Orihime, per punirli li divise rendendo impetuoso il fiume Ama no Gawa (Via Lattea), in modo che non potessero attraversarlo per raggiungere l’altra sponda. Però i due soffrivano talmente tanto per il distacco da trascurare comunque i rispettivi lavori. Così gli dei, mossi a pietà, decisero di farli incontrare una volta all’anno: “Se deciderete di ritornare a occuparvi delle vostre attività come un tempo, rispettando i vostri doveri, rimarrete divisi dalle sponde del Fiume Celeste per un anno intero, però, vi sarà consentito di potervi incontrare una volta soltanto, nella notte del settimo giorno del settimo mese dell’anno”.
In occasione del Tanabata in Giappone è comune scrivere i propri desideri su strisce di carta (tanzaku) e legarle poi ai rami di bambù. Questi simboleggiano i fili di seta intrecciati da Orihime. Inoltre si decorano i rami con origami a forma di gru, simbolo di salute e lunga vita, e “stelle filanti” colorate (fukinagashi).
Si crede che i desideri espressi in questa notte magica raggiungano gli dei e si possano realizzare. Proprio per questa ragione allo scoccare della mezzanotte è usanza bruciare i tanzaku, in modo che il fumo possa salire fino al cielo, oppure affidarli a un corso d’acqua.
In questo giorno così particolare, Aruntam Native Joyfood si augura che tutti i vostri desideri si possano avverare!
Spesso vi sarà capitato di pensare o avrete sentito queste frasi: “Non mi piace il fondente: è amaro” oppure “Amo il cioccolato ad alta percentuale di cacao perché ha un bel gusto amaro”.
Sono le classiche convinzioni di chi, per una vita, ha mangiato solo cioccolato di bassa qualità o non ha mai mangiato il cioccolato nel modo corretto. Una forte componente amara nel gusto del cioccolato è tipica delle tavolette prodotte con cacao di qualità inferiore o in caso di problemi durante il processo di produzione: come una fermentazione errata o una tostatura eccessiva.
Non dimenticate che per mangiare correttamente il cioccolato fondente puro dovete prima annusarlo, quindi scioglierlo in bocca e non masticarlo, così apprezzerete tutti gli aromi e i sapori. Masticandolo rapidamente, infatti, si possono percepire solo poche note di sapore e per questo è facile che prevalga l’amarognolo.
C’è da dire che le fave, i semi del cacao, appena colte, sono naturalmente amare come forma di difesa per tenere a distanza gli animali che altrimenti se ne ciberebbero, ma questa caratteristica diminuisce esponenzialmente nelle varie fasi di lavorazione.
Quello che va compreso è il vero significato di amaro, infatti spesso un degustatore inesperto tende a categorizzare come “amaro” qualunque gusto con un sapore forte o acido. Un retrogusto amaricante – un sapore amaro gradevole – è in realtà un pregio del cacao perché se nel primo caso c’è una sensazione sgradevole, nel secondo abbiamo una connotazione positiva. Scoprirete che un cioccolato con elevata percentuale di cacao se di alta qualità, anche un 100%, pur non avendo zucchero, è in grado di sprigionare note di sapore incredibili come fiori o frutta, anche tropicale, passando per la frutta a guscio, il miele o le erbe aromatiche.
Se fino a oggi siete stati abituati a mangiare cioccolato con una grande quantità di zuccheri o aromi artificiali, non disperate! Dovete semplicemente riabituare il vostro palato ai sapori autentici, cominciando, un quadratino per volta, a riconoscere gli aromi originari.
Buona degustazione a tutti!
Siamo felici di ospitare oggi un articolo del carissimo Sacha Guerra che ci racconta le origini mitologiche del Cacao.
Il Cacao è sicuramente un vanto dell’America centro meridionale. Tant’è vero che la cioccolata era considerata una bevanda ad appannaggio solo dei ceti più elevati delle civiltà precolombiane. Abbiamo numerose testimonianze, dei periodi di dominazione Maya e Azteca, con le descrizioni del sovrano e dei suoi dignitari che consumano una bevanda derivata dai semi del cacao; bevanda insaporita in particolar modo con altri due ingredienti: la vaniglia e il miele.
Questo breve preambolo storico e socio-antropologico è necessario al fine di comprendere meglio l’importanza del Cacao presso tali antiche civiltà; in particolar modo il suo legame con la mitologia e la cosmogonia del popolo azteco.
Al cacao infatti si legano diversi miti, uniti dalla comune presenza del dio Quetzalcóatl: il Serpente Piumato, una delle principali divinità azteche, al cui credo si dovrà la futura conquista del “Nuovo Mondo”. Leggende che presentano anche una interessante somiglianza con i miti greco-romani di Prometeo e di Tantalo: ovvero la coraggiosa divulgazione di un dono prezioso appartenente al mondo degli dei che porterà a un doloroso sacrificio punitivo.
La prima leggenda narra che ai tempi in cui in Messico dominava Quetzalcóatl, un principe partì per la guerra e mise al sicuro le proprie ricchezze, dopo aver fatto giurare alla moglie Xoco di non rivelare a nessuno il segreto, a costo della sua stessa vita. Il tempo passava e il principe non faceva ritorno, ma la sua sposa gli rimaneva fedele. Una notte giunsero i nemici e la principessa Xoco preferì morire pur di non infrangere il suo giuramento. Il padre Sole e la madre Terra decisero che il sacrificio di Xoco dovesse essere ricordato in eterno. Trasformarono il corpo della giovane nel tronco di un albero, i suoi capelli in rami e in foglie, e il suo sangue in un frutto dai semi rossi, amari come il suo dolore e protetti da un guscio forte come il suo coraggio e la sua virtù: una metafora dell’amore stesso, sentimento che racchiude in sé gioia e sofferenza.
Secondo un altro mito Quetzalcóatl divenne il primo re degli Aztechi, insegnando agli uomini a raccogliere i frutti del Cacao e a macinarne i suoi semi, per ottenere una profumata bevanda da insaporire con erbe e spezie. Sotto consiglio del dio-re anche la divinità della pioggia Tlaloc e Xochiquetzal, la dea della fertilità, aiutarono gli uomini a beneficiare dei frutti della pianta divina. Quando la forma “umana” del Serpente Piumato si ammalò, gli altri dei, adirati perché aveva donato agli uomini un alimento riservato solo a loro, incaricano Tezcatlipoca, dio dell’Oscurità e astuto fratello dello stesso Quetzalcóatl, di punirlo. Tezcatlipoca convinse il dio a bere un liquido preparato da lui a base di pulque, un fermentato del succo dell’agave. La pozione rese ubriaco il dio Quetzalcóatl rendendolo ridicolo agli occhi degli uomini che gli voltarono le spalle. Una volta risvegliatosi Quetzalcóatl notò con enorme dispiacere che le piante di cacao, abbandonate dagli uomini, si erano rinsecchite. Infastidito e turbato, il Serpente Piumato lasciò per sempre la Terra scomparendo nel mistero al di là del mare. Prima della sua partenza però alcuni semi di cacao gli caddero dalle tasche e rigenerarono le piante di cacao.
Il dio promise che sarebbe tornato dal suo esilio nell’anno del Ce-acatl, con l’intenzione di riprendersi il proprio regno. Questo evento verrà mal interpretato da Montezuma II nel 1519, quando vide comparire delle navi all’orizzonte. Purtroppo non è il Serpente Piumato a presentarsi, ma uomini ammantati di metallo e strani bastoni tonanti, guidati da un bianco di nome Hernàn Cortés. Alle presunte divinità sono offerti preziosi doni quali: oro, argento, pietre preziose e cesti pieni di semi di cacao, che viene usato anche come merce di scambio, in quanto tesoro da difendere.
Quel che gli Aztechi non possono immaginare è che il cacao sarà ancora una volta dolce e al tempo stesso amaro. Viene infatti fatto conoscere nella “Vecchia Europa” con un successo che vive ancora oggi, ma al prezzo dell’atroce genocidio delle genti delle terre da cui proviene: falciate da guerre, razzismo, schiavitù, malattie e fanatismo.
Il Cacao per la seconda volta paga il prezzo della sua bontà con il sangue.
Le origini non sono certe, ma prima del 1582 – anno dell’adozione del calendario Gregoriano – il Capodanno si celebrava tra il 25 marzo e il 1 aprile. Si dice che molti francesi, contrari ai cambiamenti, continuassero a festeggiare il nuovo anno come ai vecchi tempi. Alcuni connazionali per sbeffeggiarli li omaggiavano con regali assurdi o scatole vuote in cui scrivevano poisson d’avril – pesce d’aprile.
Lo scherzo più antico in Italia risale alla fine del XIII secolo a opera del maestro Buoncompagno da Firenze. Dichiarò al popolo bolognese che avrebbe sorvolato la città con un congegno di sua invenzione, la popolazione si radunò per vederlo e lui si presentò all’appuntamento con un enorme paio di ali adducendo come scusa, per il mancato volo, un improvviso vento sfavorevole.
In tempi più recenti tre stimati scienziati australiani – Hamilton, May e Waters – sostennero di aver trovato le prove dell’esistenza dei draghi nelle antiche cronache di Goffredo di Exmouth, il quale chiariva, con dovizia di particolari, come il brusco calo delle temperature e la scomparsa del loro cibo preferito – i cavalieri – avessero fatto sì che i draghi entrassero in ibernazione in attesa di tempi più miti.
Lo scherzo più famoso rimane quello a opera di Orson Welles che, nel 1938, cercò di mandare in onda il 1 aprile un particolare programma radiofonico: “La Guerra dei Mondi“. Per problemi tecnici la trasmissione fu rimandata al 30 di ottobre, scatenando un vero e proprio panico collettivo nella popolazione certa di assistere alla radiocronaca dello sbarco dei marziani sulla terra.
Buon 1° Aprile a tutti!
Nel cioccolato fondente la percentuale di cacao espressa sulla confezione, per esempio 70%, è la percentuale che rappresenta tutto ciò che si ottiene dalla fava – seme – di cacao quindi può essere: fava, massa o pasta, granella, polvere e burro di cacao.
La percentuale restante per arrivare a 100 è sempre data, in qualunque tavoletta e di qualunque produttore, dallo zucchero e/o dolcificante presente.
Quindi nel caso del 70% sarà il 30%, nel caso di un 80% sarà il 20% e così via.
Ne deriva che l’unico “cioccolato” che non contiene zucchero è il 100%, infatti lo chiamiamo commercialmente cioccolato ma è una massa di cacao lavorata in tavoletta, perché per legge il cioccolato deve contenere almeno l’1% di zucchero.
Bisogna quindi prestare molta attenzione quando si trova scritto senza zucchero perché, se la percentuale di cacao è inferiore a 100, saranno presenti altri tipi di dolcificante.
Anche se la domesticazione del Theobroma Cacao, la pianta del cacao, risale a quasi 3.500 anni a.C., l’uomo per la maggior parte della sua storia ha bevuto la cioccolata e la tavoletta di cioccolato è un’invenzione piuttosto recente.
Nel 1847 è stato un inglese, Joseph Fry, a capire che unendo cacao macinato, zucchero e burro di cacao si otteneva una pasta che poteva essere modellata. È quindi della Fry & Sons il primato di aver venduto la prima tavoletta di cioccolato della storia.
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